Il vino




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Il termine “Chianti” compare per la prima volta in una pergamena del 790, mentre le prime pergamene in cui si fa riferimento alla vinificazione in Chianti sono del 913 e sono state rinvenute nella chiesa di Santa Cristina a Lucignano.
Bisognerà aspettare il 1023 per avere notizia della concessione di terre “lavorative e vignate” a un colono che si impegna a migliorarle a Grignano, vicino a Firenze.
E’ proprio nel Medioevo, infatti, che la vocazione vinicola del Chianti, sulla scia degli insegnamenti dei monaci, si rende manifesta: già nel XII secolo, famiglie i cui nomi sarebbero rimasti famosi a lungo, come i Ricasoli (a Brolio dal 1141) e gli Antinori (produttori di vino dal 1385) inauguravano la loro produzione vinicola.
La strada che porta alla nascita dei Comuni è strettamente correlata alla continua crescita della produzione vinicola: il commercio del vino costituisce un’importante fonte di ricchezza, che rafforza il potere e il controllo sul territorio.
Lo testimonia, ad esempio, la fondazione a Firenze verso la seconda metà del Duecento, dell’Arte dei Vinattieri, la più importante delle Arti Minori, accompagnata dall’apertura di osterie e celle vinarie.
L’abitudine al consumo del vino, in quell’epoca, si diffuse velocemente e da prodotto di lusso, appannaggio delle tavole nobili, il vino divenne presto una bevanda di consumo popolare: era presente in tutte le case, da quelle dei ricchi a quelle dei contadini, che il più delle volte lo utilizzavano per miscelare un’acqua malsana.
Veniva considerato un vero e proprio alimento e fonti storiche documentano che veniva usato addirittura come farmaco per curare gli ammalati.
Negli antichi documenti si parla di vino “rutilante” o “vermiglio” (se rosso) o “vernaccia” (se bianco). Sappiamo da documenti medievali che nel 1398 il Chianti era un vino bianco, molto diverso quindi dal rosso attuale. Non sappiamo quando cambiò colore e nemmeno quali caratteristiche organolettiche dovesse possedere all’epoca.
Sappiamo, invece, che già prima di chiamarsi Chianti, questo vino era noto per freschezza e vivacità, caratteristiche derivate dalla particolare vinificazione imposta nel 1364 da Giovanni di Durante e Ruberto di Guido Bernardi.
Essi prescrivevano di aggiungere al vino uva passa per eliminare le impurità e albume d’uovo, mandorle e sale per chiarificarlo, pepe e petali di rosa per regalargli un bel colore.
Un vino da proteggere
Fin dal 1400, quando cioè fu ormai evidente l’eccellenza del vino Chianti, si impose la necessità di tutelarlo, proteggendone nome e qualità. Uno dei primi provvedimenti in questi senso fu il divieto da parte della Lega del Chianti nel 1444 di vendemmiare prima del 29 settembre, festa di san Michele.
Successivamente furono stabilite pene per chi contraffaceva il prodotto originale o ne alterava il sigillo.
Una svolta si ebbe nel 1716 quando il Granduca Cosimo III emanò provvedimenti per regolare la produzione, la vendita e il nome; si stabilirono anche i confini delle varie zone e le sanzioni previste per il traffico clandestino e la contraffazione.
Il cosiddetto decreto motu stabiliva dunque regole e controlli per il controllo sulla produzione di 4 vini regionali: Chianti, Pomino, Carmignano e Val d’Arno di Sopra.
Ma dobbiamo aspettare la seconda metà del Settecento perché l’Accedemia dei Georgofili (fondata a Firenze il 4 giugno del 1753) iniziasse a sperimentare la mescolanza tra diversi tipi di vitigni individuandone le caratteristiche prima di procedere alla vinificazione.
Un’ulteriore spinta al controllo della lavorazione e degli uvaggi si deve al “Barone di ferro”, personaggio storico del Chianti. Bettino Ricasoli esigeva, infatti, la separazione dei raspi dalle vinacce, la fermentazione in vasi chiusi e una svinatura rapida seguita dal “governo all’uso toscano”.
Solo nel 1874 si arrivò a definire l’uvaggio del Chianti al quale si sarebbe ispirato oltre un secolo dopo, il disciplinare del 1984.
A quell’epoca il Chianti era composto da sangiovese per il 70%, Canaiolo per il 15%, Trebbiano e Malvasia e per il restante 5% da altri vitigni (Mammolo, Colorino). Composizione che valse al Chianti la prima medaglia d’oroall’esposizione internazionale di Parigi.
Il 14 maggio del 1924, 33 produttori della zona fondarono il consorzio, allora chiamato Gallo Nero, con lo scopo di tutelare il vino Chianti e il suo marchio. Il suo simbolo era il Gallo Nero in campo oro (già simbolo dell’antica Lega del Chianti), la cui origine è legata a una famosa leggenda.

Il vino di artisti e poeti

Dopo la pace medicea i fiorentini cominciarono a guardare la campagna come una fonte di investimento e di guadagno. Perfino Michelangelo acquistò case e poderi nel Chianti e si occupò personalmente della produzione del vino.
Machiavelli nel 1512 cercò rifugio nei poderi che possedeva in Chianti dopo essere stato accusato di congiurare contro i Medici, in particolare a sant’Andrea in Percussina, nelle cui stanze avrebbe scritto Il Principe.
Nel suo podere di Grignanello (Castellina in Chianti), anche Galieo Galilei (1464- 1642) si rifugiava per dimenticare i conflitti col mondo scientifico di allora e le accuse di eresia.
Scriveva Galileo:“Il vino è come il sangue della terra” … “è licore di altissimo magistero composto di umore e di luce, per la cui virtù l’ingegno si fa illustre e chiaro, l’anima si dilata, gli spiriti si confortano e l’allegrezze si moltiplicano.
Più tardi anche Verdi (1813- 1901) non disdegnerà il vino di queste terre, se la moglie Giuseppina Strepponi scriveva a un’amica “Verdi sta benone, mangia, corre per il giardino, dorme e beve Chianti”.
Concludiamo questo breve excursus sulla storia di questo vino con le parole del giornalista ed enologo americano Burton Anderson: “Il chianti si impone di gran lunga come il più grande dei vini” e che detiene il primato di vino più conosciuto al mondo, più ancora dello Champagne e del Bordeaux.

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